Psicologia dello sviluppo, Luigia Camaioni – EG
Autore: Luigia Camaioni, Paola Di Blasio
Edizioni: il Mulino, Bologna, 2007
Scheda elaborata da Eugenio Galli
Benchè lo sviluppo riguardi l’intero ciclo di vita, i cambiamenti più drammatici nella vita di un individuo si verificano nell’infanzia, nella fanciullezza e nell’adolescenza e sono stati pertanto i periodi di vita più studiati dagli psicologi dello sviluppo. Il manuale fornisce una panoramica completa della psicologia dello sviluppo. Parte con una descrizione delle principali teorie dello sviluppo, da quelle classiche a quelle più recenti, evidenziando le domande chiave alle quali la psicologia dello sviluppo tenta di rispondere -quale sia la natura del cambiamento che caratterizza lo sviluppo; quali processi causano questo cambiamento e se si tratti di un cambiamento continuo e graduale ovvero discontinuo e improvviso- per poi presentare i metodi di indagine più comunemente utilizzati per studiarlo. Si illustrano tre grandi approcci principali coi quali approcciare la materia: comportamentistico, organistico e psicoanalitico. Gli autori trattano i diversi domini in cui l’individuo concretamente si sviluppa: fisico, motorio, percettivo e cognitivo.
Si analizza perciò come i cambiamenti fisici e neurologici (descritti fino alla pubertà) siano il risultato della continua interazione tra fattori biologici (ereditari) e ambientali; si percorre poi come, attraverso i principali sistemi sensoriali (gustativi, olfattivi, uditivi e visivi) si evolva e maturi progressivamente la percezione della realtà fisica e delle persone. Lo studio dello sviluppo cognitivo invece si chiede quali siano i cambiamenti a livello di funzionamento cognitivo e quali siano i fattori responsabili di tali cambiamenti.
Le principali teorie esposte dal sono celebri: da quella organistica di Piaget, al processo di interiorizzazione di Vygotskij. Trova spazio anche il pensiero di Brunere la più recente Teoria della mente. Gli autori illustrano poi i processi di acquisizione del linguaggio e del comportamento comunicativo (quali processi e meccanismi intervengono nel bambino nell’apprendimento della lingua materna), dello sviluppo sociale (come dal secondo anno di vita la prospettiva soggettiva del bambino si apra alla relazione e alla interazione con gli altri, nonché di quello affettivo,emotivo e morale. Infine il testo dedica l’ultimo capitolo all’adolescenza che più di altre fasi del ciclo di vita è stato definito come un periodo caratterizzato da profondi cambiamenti fisici, intellettivi, affettivi (con tutto il portato di modifica della percezione corporea e della modulazione delle pulsioni).
Si esplorano le tensioni verso la conquista dell’identità personale, il dispiegarsi dei processi cognitivi e la comprensione delle regole morali. Nell’ambito delle relazioni affettive e sociali si conclude considerano le influenze che hanno il rapporto con la famiglia e con il gruppo di pari sul percorso di crescita.
Prezioso il capitolo sulle emozioni. Il focus verte sulle teorie sulla loro origine; vengono delineate tre principali teorie a riguardo. La teoria della differenziazione emotiva concepisce le emozioni come sviluppate da uno stato iniziale indifferenziato. Sarà successivamente l’attività cognitiva a dare al bambino quell’apporto necessario ad assegnar interpretazioni ai segnali interni, inizialmente di tipo fisiologico.
La sequenza evolutiva di questo stato indifferenziato di eccitazione si svilupperà su tre diversi percorsi: il sistema piacere-gioia, quello circospezione paura e quello frustrazione rabbia, mano a mano si raffinano e differenziano sempre di più. Di segno inverso è la teoria differenziale che concepisce una sorta di innatismo di alcune emozioni fondamentali. Sono forme di organizzazione innate che determinano il comportamento e gli affetti. Le altre emozioni emergono successivamente con la socializzazione: rivestono un compito adattivo e perdono col tempo la connessione con le espressioni fisiologiche divenendo sempre più socialmente determinate.
Interessante è per noi il terzo approccio presentato: quello funzionalista, rivolto soprattutto a comprendere quali obiettivi rivestano le emozioni. Queste sarebbero tutte presenti alla nascita e relativamente autonome dalle conquiste cognitive. Agiscono come sistemi di azione che spingono ad esprimere e a soddisfare bisogni che hanno un significato adattivo e avrebbero il compito di regolare i processi psicologici interni e i comportamenti sociali e interpersonali (selezionando informazioni e predisponendo l’organismo ad agire).Secondo questa teoria le emozioni hanno un carattere distintivo rispetto alle altre forme istintuali e utilizzano un processo comunicativo non codificato culturalmente. Solo col tempo sono destinate ad articolarsi in modo più complesso.
Interessante l’aver concettualizzato le emozioni in termini ruolo che rivestono (o come famiglie di emozioni). Questo significa che indipendentemente dalla diversità delle esperienze che generano- ad esempio- paura, questa emozione svolge sempre una medesima funzione adattiva ed è questo l’importante (paura può tradursi in: mantenere l’integrità fisica e psicologica, evitare il pericolo sempre fisico o psicologico, segnalare agli altri l’allarme per la pericolosità di quell’evento).
Tale considerazione si lega alla natura adattativa delle nostre risposte emotive (oltre che fisiche e fisiologiche) agli eventi. Queste prendono forma della nostra storia e sono comportamenti agiti in funzione della nostra salvaguardia in determinati contesti. Aver “paura” non è una emozione di cui si possa dire positiva o negativa per sé.
Possiamo aver colto vantaggi dall’aver provato questa emozione e può ancora essere una risposta adattativa utile nel presente e futuro. Diverso il caso in cui questa risposta si cristallizzi e si presenti in contesti ove sia dannosa.
Utile per l’approccio biosoistemico il paragrafo sugli usi del linguaggio (p. 150). Elencando le abilità implicate nel comunicare e comprendere in modo efficace e discorrendo del fallimento comunicativo (che può verificarsi laddove siano deboli fattori legati ad abilità percettive, di confronto, di memoria) si cita la capacità di comprendere l’ambiguità di certi messaggi.
I bambini tendono a prendere per buoni piuttosto questi messaggi e sono pronti ad accordare ragionevolezza a chi ha prodotto il messaggio ambiguo (anche contro ogni evidenza del fallimento comunicativo). I bambini posti di fronte a queste ambiguità sanno di avere un problema ma non sanno che la fonte del loro problema è il linguaggio (e perfino rendersi conto dell’ambiguità non implica la capacità di risolverla, ricorda Watzlawick). Con la scolarizzazione e con il progredire delle abilità cognitive si sviluppa allora quella meta comunicazione che rende possibile un percorso di uscita da quei paradossi che possono rendere patologica e disfunzionale la pragmatica della comunicazione.