L’arte del counseling, Rollo May – EG
Autore: Rollo May
Edizioni: Astrolabio, Roma, 1989
Scheda elaborata da Eugenio Galli
Con la sua opera May si rivolge a chiunque, pur non desiderando diventare psicologo o psicoterapeuta, “ha l’esigenza di saperne di più sui percorsi interni della personalità”(p.7). Il counseling, prosegue l’autore, affonda le sue radici in quella psicologia umanistica che sottolinea l’importanza della libera scelta, il concetto di autodeterminazione, la piena fiducia nell’uomo e nel suo stesso potenziale. Si richiama qui una responsabilità della persona che rende in qualche misura sempre possibile il cambiamento; questo può avvenire tramite un processo di consapevolezza e di volontà, smarcandosi con questa prospettiva da un determinismo intrapsichico che si presta ad essere sia angosciante che deresponsabilizzante.
Compito del counselor è quello di favorire lo sviluppo e l’utilizzazione delle potenzialità del cliente, aiutandolo a ritrovare un equilibrio tra le tensioni che possono generare quei problemi di personalità che bloccano il suo esprimersi pienamente e liberamente nella vita e nel mondo. Chiave fondamentale per accedere al mondo dell’altro è l’empatia; consigliare gli altri richiede inoltre la comprensione del carattere e delle tensioni interne della personalità oltre che la capacità di leggere e posizionare i dati all’interno di quadri ampi.
Questi dovrebbero essere il più possibile sensibili ad una integrazione di informazioni che possono derivare dalla costellazione familiare del cliente e dalla consapevolezza di suoi possibili lapsus e dimenticanze. In questa lettura il counselor è chiamato ad assumere una prospettiva esistenziale che sappia accettare e rispettare gli altri. Dovrà guardarsi dal prescrivere da falsi moralismi e dall’imporre o veicolare proprie scelte di vita al cliente.
May si sofferma sulle quattro caratteristiche che descriverebbero una personalità sana ed equilibrata – la libertà, l’individualità, l’integrazione sociale e la tensione religiosa. Il counselor deve in primis anelare ad un proprio equilibrio in queste sfere.Saper prestare ascolto alle proprie tensioni e equilibri dinamici è la condizione per poter stabilire un rapporto autentico col cliente, potenziando e attivando le sue risorse verso questa integrazione.
May prosegue illustrando gli aspetti fondamentali del processo del counseling in quattro fasi: prendere contatto, stabilire il rapporto, confessione del disturbo e interpretazione. La fase conclusiva del superamento del problema, la vera trasformazione della personalità, spetta poi solamente al cliente: il counselor può solo guidarlo, con empatia e rispetto, a ritrovare la libertà di essere se stesso.
L’arte del counseling si delinea come un testo base per il nostro percorso e potrebbe assurgere a funzione di bussola. In esso si delineano, dipanati in una prosa calda e comprensibile quelle prospettive che un counselor deve necessariamente tutelare e tematizzare.
La terza parte in particolare riguardante questioni sulla personalità del counselor, la sua morale e quella dimensione più religiosa (o spirituale) del counseling. Viene da chiedersi se la semplice consapevolezza dei propri limiti sia un ingrediente sufficiente per poter essere una figura di supporto e sostegno delle risorse altrui, se si sia mai abbastanza equilibrati per poter affiancare l’equilibri dell’altro.
Oltre a questa questione elevata ad un senso generale, potrebbe essere utile ricordare la natura particolare e contingente dell’analisi che un counselor deve anzitutto effettuare su di sé e sulle proprie tensioni.
Forse è da ritenersi necessario non solo continuare a perseguire costantemente una forma di equilibrio tra le tensioni ma anche saper aver l’onestà di riconoscere nel qui e ora gli stati che possono richiedere una sospensione momentanea di una seduta di lavoro col cliente. Siamo consapevoli che la professionalità deve garantire il più possibile una presenza e una continuità di relazione- proprio per questo è necessario capire quando non si può essere fonte di sostegno.
Interessante il modo con cui May considera il dolore e la sofferenza. Questi ultimi non sono solo degli stati da alleviare ma possono essere i passi in quel percorso di maturazione che permette alla persona di abbandonare la condizione precedente nella quale era bloccata. Diventano cioè degli alleati per crescere. Per questo May ammonisce i counselor di usare la rassicurazione con parsimonia.
Anche nell’aiuto informale che un amico può offrire, mi sono chiesto spesso se col passare del tempo le mie rassicurazioni non stessero a qualche livello contribuendo a rallentare o bloccare una trasformazione in potenza in queste persone; che il mio non fosse il mio il tipo di supporto più efficace per il suo malessere o bisogno di evoluzione.
Riporto infine una citazione dal libro sul coraggio dell’imperfezione. Il passaggio è così puntuale che vorrei si commentasse da sé.
Il couselor deve sviluppare quello che Adler chiama il coraggio dell’imperfezione, ovvero la capacità di sbagliare. Il nevrotico coatto che non è disposto a sbagliare deve combattere soltanto su campi di battaglia di secondaria importanza; non c’è da stupirsi se tali persone si preoccupano continuamente dei dettagli: nel loro piccolo mondo infatti non rischiano di fallire. Coraggio dell’imperfezione significa portare i propri sforzi su un campo di battaglia importante, là dove si compiono cose significative e dove il fallimento o il successo diventano questioni relativamente secondarie. (p. 114)