Arte del counseling, Rollo May – RDM
Il libro è un saggio, essenziale per tutti coloro che si avvicinano ad una professione legata all’ascolto degli altri.
Autore: Rollo May
Edizioni: Astrolabio, 1989
Scheda elaborata da Riccardo Della Martera
Vorrei riportare le frasi del libro “Arte del Counseling” di Rollo May, che mi hanno generato spunti di riflessione e commentare la maggior parte di esse, includendo considerazioni nate dall’esperienza recente di co-counseling per i dipendenti di una grande azienda multinazionale, grazie alla quale mi sono avvicinato per la prima volta alla pratica del counseling e con la quale mi sono confrontato alla luce dei principi espressi in questo testo.
Una considerazione importante: questa tabella non funge da riassunto del libro, né riporta in modo completo tutti i concetti fondamentali che esso esprime, ma vuole solo essere un memorandum che possa aiutare il sottoscritto nei momenti in cui dovrà praticare l’attività di counseling.
… ciò che caratterizza la personalità è la libertà, l’individualità, l’integrazione sociale e la tensione religiosa… questi sono i quattro principi essenziali della personalità umana. (11)
… la funzione del counselor è quella di portare il cliente ad accettare la responsabilità della propria condotta e degli esiti della propria vita… alla fine il counselor lo aiuterà a trovare e a utilizzare le sue risorse di libertà (17)
Questi principi rappresentano quattro facce della stessa medaglia: il Sè della persona. Il counselor deve lavorare per rafforzare l’aspetto che il cliente percepisce come più debole, con la sicurezza che un cambiamento in ognuno di questi aspetti porterà un automatico miglioramento anche degli altri.
… noi abbiamo solo il nostro sé con cui vivere e affrontare il mondo. Se non riusciamo a essere noi stessi certamente non possiamo appropriarci di un altro sé, per quanto possiamo desiderarlo. Ogni sé è diverso da tutti gli altri, è unico e la salute mentale dipende dall’accettazione di questa unicità (17)
… la funzione del counselor è infatti quella di aiutare il cliente a diventare quello che era destinato ad essere (18)
… La funzione del counselor consiste nell’aiutare il cliente a trovare quella che Aristotele chiama l’entelechia, l’unica forma, nella ghianda, che la destina a diventare una quercia (20)
L’accettazione del proprio Sé da parte del cliente dovrebbe essere un mantra che costantemente soggiace a tutte le parole e azioni che il counselor fa durante la sua seduta; quella è infatti una delle direttrici principali da prendere nello sviluppo del colloquio.
… (secondo Adler) questo universale senso di inferiorità affonda le sue radici nella reale inferiorità del neonato che vede gli adulti esercitare un potere che a lui manca… il senso di inferiorità e la volontà di prestigio sono semplicemente due aspetti della stessa pulsione… (25)
L’inferiorità e la volontà di prestigio sono due facce della stessa medaglia ed il counselor, quando lo ritiene opportuno, dovrebbe fare in modo di guidare il cliente non solo verso una conoscenza mentale di questo processo, ma verso una vera e propria consapevolezza emozionale.
… il senso di colpa è la percezione della differenza fra ciò che una cosa è e ciò che dovrebbe essere (29)
… è compito del counselor aiutare il cliente a liberarsi dalla morbosità del suo senso di colpa (32)
Il senso di colpa nasconde sempre qualcosa di più profondo, che non sempre spetta al counselor indagare. Il counselor può provare a far entrare il cliente nel suo senso di colpa, fino al punto in cui ciò è legato al problema contingente oggetto della seduta; nel momento in cui si va verso il passato il counselor deve però stare attento a fermarsi prima di entrare in un ambito psicoterapico che non gli compete.
… m’informai sulle sue amicizie, un ambito sempre molto significativo negli squilibri della personalità… (33)
Durante il primo colloquio è bene chiedere al cliente informazioni che riguardano i suoi rapporti con gli altri e con la famiglia, in modo che il counselor possa farsi una idea di come è il mondo che circonda il suo cliente, sapendo benissimo che è stato lui (il ciente) a plasmarlo in quel modo.
… occorre notare che la sofferenza del cliente gioca in favore del superamento dei suoi problemi. Questo significa che il counselor deve usare la rassicurazione con parsimonia. L’ansia del cliente è la sua migliore alleata (nota 36)
Il counselor deve aiutare il cliente a passare attraverso la sua sofferenza, per fare in modo che essa si tramuti in qualcos’altro a seguito della rielaborazione avvenuta durante la seduta, nella quale il cliente dovrebbe aver acquisito una nuova prospettiva sul suo dolore.
… il punto centrale del problema della personalità è l’organizzazione delle tensioni interne dell’individuo (39)
… il counselor, pur tenendo nella debita considerazione tutti i fattori ambientali, deve ricondurre la difficoltà alle tensioni interne della personalità del cliente (40)
Uno dei principi che regolano l’instaurarsi di un rapporto, riguarda la capacità di utilizzare il linguaggio dell’altro (52)
Quando il cliente cerca di dare la colpa del suo disagio a qualcosa di esterno occorre ricondurlo dentro se stesso e chiedergli: “Perché questo fatto ti genera disagio?”
Uno dei principi che regolano l’instaurarsi di un rapporto riguarda la capacità di utilizzare il linguaggio dell’altro (52)
… empatia non significa identificazione delle proprie esperienze con quelle del cliente, come accadrebbe se il counselor dicesse, “Sì, è successo anche a me quando avevo la stessa età.” (54)
In altre parole, il detto “mal comune mezzo gaudio” non vale nel counseling. Ho avuto la tentazione di fare qualcosa del genere con una cliente; fortunatamente me ne sono accorto in tempo e non ho detto nulla di una mia esperienza che era stata molto simile alla sua.
Ciò che contraddistingue il counselor è una speciale sensibilità alla gente: sensibilità alle speranze, alle paure e alle tensioni della personalità (67)
… è possibile fare ipotesi sul modello di personalità di un individuo soltanto sulla base si una costellazione di molti e diversi fattori: il modo di avvicinarsi, il modo di dare la mano, l’abito, il senso delle distanze, la mimica facciale, il tono della voce, dimenticanze e lapsus, la posizione occupata nella famiglia (67-74)
Il counselor dovrebbe cercare di notare tutti questi elementi a partire dal momento del primo contatto con il cliente (es. tono di voce alla prima telefonata) e durante tutta la seduta, per non lasciarsi sfuggire messaggi (principalmente inconsci) che la persona sta cercando di trasmettere.
… uso della memoria infantile precoce (Adler) come via alla comprensione dello stile di vita individuale (72) …
“Mi può parlare di un ricordo precoce della sua infanzia?” (84)
Questa tecnica risulta molto affascinante anche se si colloca al limite tra il counseling e la psicoterapia.
Pochi sono i doni che una persona può fare a un’altra che eguaglino, per ricchezza, il dono della comprensione (79)
La cosa che forse mi ha stupito di più dei colloqui di co-counseling è il fatto che appena si fa capire ad un cliente che si è pronti ad ascoltarlo, immediatamente sparisce qualsiasi segno di titubanza, anche nelle persone più timide. Al termine di alcune delle sedute, mi rendevo conto che non si era fatto o detto nulla di particolare al cliente, ma lui se ne andava comunque in uno stato migliore di come era entrato semplicemente per il fatto di essere stato ascoltato. Rendersi conto di tutto ciò è una grande fonte di ricchezza e motivazione per un counselor.
Fasi di una seduta: Empatia –> Confessione –> Interpretazione (80)
Cliente: “Penso che lei abbia ragione. E allora che cosa devo fare?” … Se il counselor cede alla tentazione e dà un consiglio o anche solo istruzioni specifiche, interromperà il processo e ostacolerà il reale riadattamento della personalità del cliente. Al contrario, egli deve utilizzare la richiesta come un mezzo per fare accettare al cliente un maggior senso di responsabilità personale (85)
Quando il cliente pone quella domanda vuol dire che già ha iniziato il suo cammino di cambiamento ed è disposto a mettere in gioco le sue energie per qualcosa che ritiene importante. Spetta al counselor arrivare ad una identificazione più precisa di queste energie e fare in modo che il cliente trovi un modo per lui ecologico ed efficace di usarle.
La confessione di per sé ha un valore catartico (88)
Ciò è vero solo se la confessione è accompagnata dalla comprensione di colui che ascolta.
Per tutto il tempo della confessione il counselor deve essere capace di non lasciarsi scandalizzare né offendere (89)
… molti clienti cercheranno, coscientemente o no, di provocare l’indignazione dell’ascoltatore (89)
Sul tema della provocazione, mi è capitato durante una seduta di lasciarmi trascinare da una cliente che si stava atteggiando in modo infantile; mi sono reso conto, solo a fine seduta, di aver preso un atteggiamento da padre, esattamente come voleva lei.
Le crisi emotive durante la confessione a volte sono un sollievo per il cliente e a volte una resistenza (89)
Il counselor deve guardarsi bene dal manifestare simpatia durante il colloquio… l’empatia è l’atteggiamento migliore (89)
… nell’empatia sta il controllo del tono emotivo della seduta (90)
Con una cliente che aveva un carattere molto espansivo mi è capitato di farmi prendere dalla sua simpatia (che in realtà al fondo nascondeva una profonda ansia) e di iniziare a trattarla più come un’amica che come una cliente. Me ne sono accorto solo alla fine della seduta.
L’interpretazione è una funzione del lavoro congiunto del counselor e del cliente…
il counselor suggerisce le interpretazioni, non le afferma in maniera dogmatica…
il counselor deve essere capace di leggere il significato delle reazioni del cliente ai suggerimenti (90)
Mi è capitato di provare a suggerire delle interpretazioni; quando il cliente ha respinto la mia interpretazione mi sono sentito offeso e mi stavo punendo per aver commesso un errore, rischiando così di mettere a repentaglio il proseguio della seduta. In futuro devo fare attenzione a questo fenomeno e non sprecare energie in giudizi su me stesso.
… meno esperto è il counselor, più la sua funzione dovrebbe limitarsi alla fase della confessione, suggerendo soltanto un’interpretazione di prova (91)
La trasformazione della personalità del cliente non avviene attraverso i consigli … fare counseling e dare consigli sono due funzioni nettamente distinte (93)
… Il consiglio lo si può avere per niente, e vale altrettanto (94)
Quella di dare consigli è una tentazione che di tanto in tanto viene fuori, soprattutto nel momento in cui il counselor riesce ad avere ben chiara la problematica del cliente, mentre lui non è ancora in grado di vederla da solo.
… l’influenza che deriva dal rapporto empatico … il counselor determina una certa trasformazione del carattere dell’altro semplicemente orientando il suo umore e la sua volontà nel rapporto empatico. (97)
Il counselor, durante la seduta, deve porre grande attenzione a come si sente, sia per percepire meglio le emozioni che il cliente cerca di trasmettere, sia per cercare di guidarlo verso una chiarezza del suo sentire.
… il counselor non dovrebbe alleviare la sofferenza del cliente, ma piuttosto orientarla, canalizzandola in maniera costruttiva (99)
… la funzione del counselor è quelle di mettere in relazione la sofferenza del cliente con gli aspetti nevrotici del suo modello di personalità (101)
Se il counselor gode davvero della compagnia degli altri e desidera il loro bene, automaticamente susciterà attrazione (105)
Vedere gli altri attraverso i propri pregiudizi: questa tendenza è il blocco peggiore e più deviante nella personalità del counselor (106)
Mi è capitato diverse volte di vedere l’altra persona attraverso i miei filtri. Ricordo nettamente la mia prima esperienza di co-counseling con un ragazzo che, ad un certo punto, disse: “Mi piacerebbe giocare nel …” ed io, che non amo il calcio, pensai “Ma perché non ti cerchi un obiettivo più sano e costruttivo?”. Fortunatamente mi resi conto immediatamente della pericolosità di quel pensiero e lo appartai.
Il couselor deve sviluppare quello che Adler chiama il coraggio dell’imperfezione, ovvero la capacità di sbagliare. Il nevrotico coatto che non è disposto a sbagliare deve combattere soltanto su campi di battaglia di secondaria importanza; non c’è da stupirsi se tali persone si preoccupano continuamente dei dettagli: nel loro piccolo mondo infatti non rischiano di fallire. Coraggio dell’imperfezione significa portare i propri sforzi su un campo di battaglia importante, là dove si compiono cose significative e dove il fallimento o il successo diventano questioni relativamente secondarie (114)
Personalmente ho sempre avuto molta paura dell’imperfezione, e anche se tuttora a volte la allontano, credo che il counseling sia la mia prima esperienza in cui ho provato soddisfazione nel commettere errori (involontari ovviamente, dovuti all’inesperienza), riconoscerli, accettarli come miei con un grande sorriso sulle labbra e ripartire con una grande voglia di fare bene. È un’esperienza bellissima.
Più il nostro pensiero penetra il campo della psicoterapia, più ci avviciniamo al regno della teologia. La psicoterapia prende le mosse dal problema di come aiutare il nevrotico a vivere nella maniera più adeguata; ciò si traduce nella ricerca di un senso alla sua vita, ed è a questo punto che la psicoterapia sconfina nella teologia. Gli interrogativi fondamentali con cui termina la psicoterapia puntano verso il campo della teologia. (133)
Questo è un tema che io sento particolarmente vivo in me. È stato grazie alla mia psicoterapia che mi sono avvicinato ad alcune discipline olistiche, viste come strumento di ricerca del Sé. Una volta che si parte per un viaggio e si prende gusto a viaggiare si perde di vista la meta iniziale e si continua, senza sapere dove si arriverà ma avendo solo una certezza: quella di non doversi mai fermare.