Il Corpo Violato, Maurizio Stupiggia – LG
Autore: Maurizio Stupiggia
Edizioni La Meridiana (2007)
Scheda elaborata da Letizia Galli
Il testo, che affronta tematiche profonde con sorprendente scorrevolezza, è suddiviso in tre parti:
- Fenomenologia;
- Trattamento;
- Guarigione.
FENOMENOLOGIA
La prima parte del testo è dedicata alla definizione dei principali concetti che ruotano attorno al tema dell’abuso. Con un lavoro di sintesi, riporto di seguito i principali:
• Idea di “trauma”
- Manca la cornice del “come se”;
- Van Der Kolk lo definisce come “incapacità di assimilare la realtà di specifiche esperienze con la conseguente ritualizzazione ripetitiva del trauma in immagini, comportamenti, sentimenti, stati fisiologici e relazioni interpersonali”;
- Condizione di impotenza rispetto a situazioni incontrollabili e sconvolgenti o totalmente incomprensibili;
- Terrore difficilmente esprimibile con le parole, solitudine priva di contatto e di sostegno.
• Concetto di “abuso”
- Il corpo non appartiene più al soggetto quando si muove diversamente dal solito e/o quando alza il suo livello di attivazione fisiologica;
- Il corpo contiene più soggetti che danno una sensazione di minaccia.
• Modulazione della distanza nello spazio
- Doppia fenomenologia: da un lato c’è l’eccessiva sensibilità al contatto e dall’altro la maniera di percepirsi come profondamente mancante.
• Senso di ambiguità
- Caratteristica distintiva dell’abuso;
- Avvolge gli eventi, producendo atmosfere vagamente minacciose e un senso di dubbio che deforma o annulla le usuali certezze sensoriali e mette la persona alla mercé di qualcosa di inquietante che può sempre arrivare.
• La parola chiave
- La parola chiave e la frase chiave si riferiscono a parole speciali inserite nelle frasi del Protagonista che contengono una speciale carica emotiva. Ripetendo la parola chiave, l’Ascoltatore crea una camera di risonanza in cui dà eco alla carica emotiva.
- Dalla parola al corpo e poi di nuovo alla parola: la parola dissonante ha la possibilità di diventare “parola organica”.
TRATTAMENTO
Introduzione anatomica al trattamento dell’abuso.
Nell’incontro con il cliente, durante i momenti di enorme intensità, una parte del cervello, l’area di Broca, deputata alla traduzione delle esperienze personali in linguaggio comunicabile, interrompe il suo funzionamento. Nell’attivazione di ricordi traumatici è presente una iperattivazione dell’amigdala, concomitante ad una diminuzione delle attività di inibizione top-down sulla stessa parte della corteccia ventrale del cingolo anteriore e da parte della corteccia prefrontale mediale e dorso laterale, una iperattivazione dell’emisfero cerebrale destro e una iperattivazione dell’area di Broca. La persona si trova quindi a rivivere, come se fossero nuovamente presenti, esperienze emotivamente intense, senza essere in grado di etichettarle, regolarle e controllarle adeguatamente, ragionare su di esse e comunicarle verbalmente in modo adeguato.
Da ciò ne consegue che alti livelli di attivazione dell’amigdala interferiscono con il funzionamento dell’ippocampo, ovvero un sistema anatomicamente contiguo all’amigdala che presiede alla funzione della memoria a breve termine, valutando e registrando la struttura spazio-temporale degli eventi.
Proposte alternative al trattamento dell’abuso.
Prima di elencare alcune metodologie di intervento, l’autore presenta la proposta dello psicoanalista George Klein.
Egli propone la teoria della “trasformazione in attivo”. Klein affianca al tradizionale principio della rimozione, il principio della trasformazione in attivo, quale strategia del Sé per padroneggiare l’esperienza, ripetendola, per creare nuove e sempre più evolute integrazioni psichiche a fronte delle minacce disgregatrici che l’evoluzione e lo sviluppo personale portano con sé.
La trasformazione in attivo prende in considerazione esperienze sperimentate passivamente come imposizioni, che portano a tentativi di risperimentarle così da renderle sintoniche con il Sé. L’esperienza, sebbene dolorosa, è così generata dal Sé; la trasformazione in attivo ribalta l’esperienza di “io sono controllato” in quella di “io controllo”.
Il cliente, pertanto, deve sempre essere messo in posizione attiva. Ciò significa far cercare a lui la distanza corporea ottimale all’interno del setting; favorire gesti spontanei; seguire, sintonizzandosi, l’intensità di attivazione fisiologica; favorire l’autocontatto corporeo.
Successivamente, l’autore descrive alcune metodologie di lavoro:
- La Riesperienza sensoriale, basata sulla rielaborazione del modello di lavoro della Somatic Experiences di Peter Levine. Punto di partenza è la considerazione per cui i sintomi post-traumatici sono fondamentalmente delle reazioni fisiologiche incomplete tenute in sospeso dalla paura. L’uomo ha dimenticato di usare il proprio corpo come strumento per affrontare i traumi ed uscirne senza troppi traumi; la chiave per uscire dal trauma consiste nello scollegare l’immobilità dalla paura ad essa associata. L’immobilità può scatenare potenti reazioni e va affrontata con due fondamentali precauzioni: il contesto di protezione e la focalizzazione sulle sensazioni corporee. E’ assolutamente necessario che il paziente percepisca la relazione terapeutica in modo totalmente sicuro, lontano da sensi di minaccia o dalla paura di non essere ascoltato. Inoltre, la traumaticità di certi eventi provoca a volte un fenomeno di dissociazione dal corpo: molte persone riferiscono di non percepirsi più nel proprio corpo, ma hanno l’impressione di esserne fuori e di guardare se stessi come un osservatore esterno. La necessità è di ancorare la persona ai suoi vissuti corporei, ogni volta che si immerge in riedizioni di scenari traumatici.
- Il Gesto chiave, tecnica di intervento elaborata da Stupiggia e Liss. In questo caso, si parte da un gesto routinario/ripetuto dal paziente, che viene evidenziato/ripetuto/intensificato/seguito nella sua spontanea trasformazione. Il counselor deve rispecchiare il paziente, proponendo in questo modo il senso del “fare insieme” che diminuisce l’eventuale senso del ridicolo che una persona può provare. Il counselor, inoltre, deve aver cura che la persona non interrompa la ripetizione del gesto, altrimenti non si attivano le aree cerebrali profonde e il tutto rischia di rimanere tecnico e piatto. E’ importante che il terapeuta accompagni il paziente, rispecchiando parzialmente il movimento o il suono connesso.
- Il Metodo dei 5 passi, ricavato dall’approccio clinico di George Dowling. Lo scopo dei passi è di rimettere la persona in contatto con le sue sensazioni, soprattutto quelle di piacevolezza, cercando di riconnettere armoniosamente l’area della sessualità con quella della sensualità. Si parte, come primo passo, dal fare amicizia con il proprio corpo, dedicando del tempo ad esplorare le proprie sensazioni corporee, senza occuparsi della sessualità e senza cercare di cambiare nulla. Il secondo passo entra molto delicatamente nell’area delle sensazioni più prettamente sessuali. Col terzo passo si entra nel’ambito del pericolo, dato che si lavora con l’elemento dell’esposizione: è il lavoro sulle sensazioni leggermente erotiche in presenza di un’altra persona (non è ovviamente una presenza reale, ma è suggerita dalla propria immaginazione). Il quarto passo va verso la mobilizzazione corporea, attraverso il lavoro con il movimento dell’onda. Si invita il paziente a far iniziare un piccolo movimento dal bacino per poi lasciarlo propagare in tutto il corpo; si cerca, cioè, di mobilizzare tutto il corpo e di riconnettere i segmenti bloccati o disgiunti tra loro. Il quinto passo è quello che integra un po’ tutte le fasi, aggiungendo il riferimento sessuale a tutto ciò che la persona aveva già affrontato.
- Il Debriefing biosistemico, ricavato dalla rielaborazione del Debriefing psicologico da Giovanni Lopez. Il protocollo biosistemico è suddiviso in sette fasi:
- Introduzione al lavoro e all’utilizzo della corporeità. In questa fase, il conduttore/psicoterapeuta, oltre a fornire le informazioni basilari sul lavoro che ci si accinge a fare e sulle relative regole, spiega che il modello teorico di riferimento contempla la possibilità di esprimere ed elaborare i propri vissuti oltre che con la parola anche con il corpo;
- I fatti: cosa è accaduto “fuori” e come l’ho “sentito”. A turno, ogni partecipante racconta il proprio ruolo nell’evento in cui è stato vittima o testimone, cosa è accaduto per come lo ha visto, sentito, odorato, toccato. Il terapeuta accoglie tutte le dichiarazioni senza intervenire, limitandosi a chiedere brevi chiarimenti se necessari;
- I pensieri. Viene chiesto al partecipante di individuare una “parola chiave” che riassuma i suoi pensieri e di individuare una corrispondenza tra quella parola ed una parte del corpo. Il conduttore, poi, lo invita a prendere contatto con quella parte e il resto del gruppo verrà invitato a rispecchiare quanto fa il protagonista;
- I sentimenti. I partecipanti sono invitati non solo a raccontare i sentimenti scaturiti dall’evento, ma a riviverli nella loro dimensione corporea. Quando il paziente sarà riuscito ad integrare l’espressione verbale e quella corporea della sua emozione, verrà accompagnato dal conduttore ad intensificare per un certo periodo l’espressione integrata e contemporaneamente il gruppo sarà invitato a rispecchiare il paziente. Quando il conduttore sentirà con il paziente che è stato raggiunto il picco di intensità, inviterà il paziente a scemare gradualmente l’espressione;
- La reazione nel singolo e nel sistema relazionale. Questa fase viene gestita come la naturale prosecuzione della precedente, basandosi sul presupposto che le reazioni all’evento traumatico siano condizionate dai vissuti emotivi scaturiti da esso.
- La strategia: verso un nuovo progetto di vita. Il conduttore invita il gruppo ad individuare le similitudini tra le reazioni individuali ad eventi traumatici. Viene così favorita la consapevolezza della “normalità” di certe reazioni ad eventi critici, che aiuta a vincere il senso di solitudine affettiva e la depressione in cui può precipitare una persona traumatizzata. Quindi il conduttore propone la condivisione delle strategie sia “adattive”, messe in atto autonomamente dopo l’evento, sia “corrette”, apprese durante la seduta;
- Il rientro. Il conduttore riepiloga gli eventi, le reazioni e le strategie, dando opportunità di fare domande ed osservazioni. Invita poi ciascun partecipante a fornire dei feedback al gruppo sull’esperienza appena vissuta.
GUARIGIONE
Secondo Judith Herman, la guarigione si basa sulla restaurazione nel sopravvissuto del potere e del controllo su di sé e sulla costruzione di nuovi legami.
Una guarigione può avvenire soltanto nel contesto di relazioni, ma in condizioni di isolamento perché è nei rinnovati rapporti con gli altri che il paziente ricostruisce le facoltà psichiche danneggiate o deformate dall’esperienza traumatica. Tali facoltà comprendono fiducia di base, autonomia, iniziativa, competenza, identità e intimità e poiché queste capacità si formano inizialmente nei rapporti con le altre persone è attraverso tali rapporti che esse devono essere rifondate.
L’idea di Herman ruota attorno a tre principi fondamentali:
• Il controllo delle proprie emozioni;
• Il senso di potere personale su di sé e sull’ambiente circostante;
• La capacità di ri/costruire buone relazioni con gli altri.
Forse il significato del concetto di guarigione è troppo complesso ed è meglio chiedersi se esitano degli indicatori di miglioramento o delle condizioni per cui possiamo affermare che il trauma è superato e la sua portata distruttiva si è trasformata in qualcos’altro per la persona. Data la centralità del corpo nel momento della catastrofe traumatica e ancor più nel momento della riemersione e poi della cura del trauma stesso, è possibile ipotizzare che gli eventuali “segni della guarigione” debbano aver a che fare anche con la corporeità, nel senso che debbano poter essere rintracciabili anche in un cambiamento nel rapporto della persona con il proprio corpo.
Il superamento positivo del trauma passa attraverso la ri-immersione nello stesso e le innumerevoli ripetizioni di questo passaggio drammatico aiutano la persona a riconquistare la padronanza di sé, delle proprie emozioni e del proprio potere personale. A questo proposito, Pat Ogden, una psicoterapeuta che collabora con Van Der Kolk, afferma che è essenziale per il paziente sperimentare una “dose tollerabile” di esperienza traumatica per ottenere benefici terapeutici.
Altro indicatore di miglioramento è il contatto con il proprio corpo. E’ importante che il paziente riprenda gradualmente il movimento di sé ed inizi a toccarsi in modo dolce e rispettoso laddove, in precedenza, si accaniva con rabbia.
La terapia mira a sciogliere quella tensione sottostante che non si dà pace finché non produce vendetta e cerca di stimolare le forze benefiche interne che portano al perdono. Il perdono non è inteso in modo vagamente cattolico, né in maniera esclusivamente volontaristica, ma va concepito in senso “sistemico”, vale a dire come superamento delle vecchie strutture relazionali e l’instaurarsi di nuovi vincoli tra i componenti del sistema, in modo che il legame di subordinazione e dipendenza lasci il posto ad una posizione di re