Il gruppo in teoria e pratica – LG
L’idea di gruppo si presta a molteplici interpretazioni e rappresenta un’identità complessa da definire. Riguardo al gruppo, sono due gli autori da cui ricaviamo i concetti teorici principali di riferimento: Lewin e Bion.
Autore: Cesare Kaneklin
Edizioni Libreria Cortina Milano (1993)
Scheda elaborata da Letizia Galli
Parte prima: le matrici teoriche
La prima parte del testo ripercorre i principali orientamenti teorici che hanno interessato il concetto di gruppo.
L’idea di gruppo si presta a molteplici interpretazioni e rappresenta un’identità complessa da definire. Riguardo al gruppo, sono due gli autori da cui ricaviamo i concetti teorici principali di riferimento: Lewin e Bion.
Secondo Lewin, qualsiasi comportamento sociale o individuale dovrebbe essere visto come prodotto di certe condizioni o forze. Egli ritiene che il comportamento individuale e quello collettivo siano realtà sostanzialmente dinamiche e frutto di interdipendenze complesse, delle quali vanno analizzate le situazioni ambientali nel momento dato ed il contesto, inteso come insieme di fattori concomitanti che aiutano a comprendere il verificarsi di un dato episodio e prevedere un possibile andamento.Nella realtà, quindi, esistono gli individui in relazione tra loro e il gruppo che ne scaturisce è un prodotto delle loro menti.
Successivamente, questa intuizione è stata ripresa e approfondita da Bion per ricercarne il senso intrapsichico e relazionale. Il gruppo diventa il luogo in cui l’individuo si forma e che costituisce in gran parte il suo ambiente esperienziale concreto, in esso egli trova un termine di confronto ed un punto di riferimento, in esso egli sviluppa valori che lo influenzeranno per tutta la vita.
Con Lewin e Bion compare, per la prima volta, una “professionalità sui gruppi”, che si fonda sulla complessità e reciprocità di rapporto tra individuo e gruppo, sulla scoperta di fenomeni capaci di influenzare la storia di un gruppo e i comportamenti dei suoi membri in direzioni anche indipendenti dai motivi razionali e dal compito che giustifica la relazione.
Le dinamiche di gruppo
L’orientamento culturale e scientifico determinato da Lewin ebbe successo e sviluppo negli USA e in Europa tra gli anni Cinquanta e Sessanta, promuovendo una mole enorme di ricerche e studi sul campo. Le piste più frequentemente indagate sono sintetizzate nella seguente griglia di osservazione:
PARTECIPAZIONE – La partecipazione verbale è un indicatore del livello di implicazione personale.
INFLUENZA – Alcuni membri possono parlare molto poco e tuttavia attirare l’attenzione o viceversa.
LEADERSHIP – Può assumere diverse forme.
METODI DI PRESA DI DECISIONE – Numerosi gruppi prendono decisioni senza soffermarsi sugli effetti che queste avranno sui membri.
FUNZIONI DI PRODUZIONE – Comportamenti delle persone che vogliono che il lavoro sia fatto.
FUNZIONI DI SOSTEGNO – Ruolo importante a livello morale per il gruppo.
CLIMA DI GRUPPO – È possibile comprendere il clima di un gruppo utilizzando le impressioni generali dei membri del gruppo.
APPARTENENZA – Le interazioni sono indice dell’appartenenza al gruppo.
SENTIMENTI – Sono le interazioni tra i membri a mobilitare i sentimenti.
NORME – Convinzioni o desideri della maggioranza dei membri del gruppo riguardanti i comportamenti accettabili o non accettabili in gruppo.
Nascita di una pedagogia organizzativa e funzionalistica
Punto di partenza per Shein è l’assunto che il gruppo debba la sua origine all’industria, allo stesso processo di divisione del lavoro e di articolazione di risorse scarse a fronte di obiettivi complessi da perseguire, ma altrettanto importante è il fatto che definendo il gruppo in termini psicologici egli ponga l’accento sulla reciproca interazione degli individui e sul fatto che essi si percepiscano vicendevolmente avendo coscienza di sé come gruppo.
Matrice teorica a ispirazione psicoanalitica
Sigmund Freud. Egli illustra lo sviluppo del legame sociale fondandolo sull’esperienza, intrapsichica e relazionale, della rimozione e della repressione delle pulsioni originarie. II primo passo avanti è quello di distinguere tra masse eterogenee, di breve durata, con obiettivi transitori e masse stabili, omogenee ed istituzionalizzate, che Freud descrive come “individualizzazione della massa”, nelle quali l’organizzazione elimina molti degli aspetti più irrazionali dell’agire collettivo. Per Freud, due sono le peculiarità dell’individuo nella massa: straordinaria esaltazione dell’emotività e riduzione considerevole delle capacità intellettuali di riflessione critica, entrambe capaci di attenuare fortemente le differenze individuali.
Un ulteriore passo avanti è quello di distinguere i tipi di pulsione e di legame presenti ei gruppi: in primo luogo si tratta di una pulsione la cui meta sessuale non è diretta ma deviata, inibita nel soddisfacimento; in secondo luogo non c’è un solo tipo di legame con l’oggetto, perché Freud distingue tra identificazione (processo mentale attraverso il quale l’individuo diventa simile all’oggetto con cui si identifica) e sostituzione dell’ideale dell’Io con un oggetto esterno (legame più forte in un gruppo, poiché è quello che lega i membri al capo ma non viceversa).
In Psicologia delle masse e analisi dell’Io, Freud propone una visione pessimistica sul significato della vita associata e sulla funzione che i gruppi svolgono nel sistema sociale, infatti l’idea costantemente proposta per tutta l’opera è che l’individuo nel gruppo stabilisce potenti legami, che lo portano ad una inevitabile regressione verso modalità di relazione oggettuale primitive, meno libere per quanto riguarda la capacità critica, anche se più rassicuranti ed ordinate.
Wilfred Bion. Secondo Bion è corretto parlare di psicologia collettiva, in quanto egli considera l’uomo un animale sociale che soltanto nell’esperienza collettiva può esprimere alcune sue potenzialità. Non può, però, sfuggire un’apparente contraddizione: l’individuo è fortemente attratto dalla socializzazione eppure, al tempo stesso, il gruppo è per lui fonte di frustrazione. Questo perché nei gruppi gli individui sperimentano due tipi di attività:cosciente/razionale (conseguimento di traguardi concreti, esplicitamente dichiarati, attraverso la cooperazione) e incoscienti (contributi anonimi dei singoli membri che inconsciamente mettono in comune stati emotivi fortemente regressivi). L’oscillazione tra questi due stati mentali origina la cultura del gruppo.
Elliot Jaques. Egli afferma che i sistemi sociali, le istituzioni, si compongono di tre livelli: individuale, strutturale e culturale. L’aspetto strutturale è dato dall’insieme dei ruoli e delle posizioni che possono essere ricoperti dalle persone. L’aspetto culturale è rappresentato dalle convenzioni, dalle regole e dai tabù non scritti che governano i rapporti tra i membri delle società; ma il livello più importante è quello individuale, che li coordina tutti e tre. Date determinate strutture inserite in diverse culture, esse assumeranno caratteristiche diverse e differenti equilibri a seconda dai significati che i vari soggetti in esse aggregati attribuiranno loro e dei livelli di coesione in esse raggiunti in dipendenza delle funzioni che a livello inconscio vengono assegnate alle istituzioni. Per Jacques, il gruppo è estremamente importante per la persona perché esso svolge una funzione di difesa dal’ansia e l’individuo è motivato a farne parte proprio dal bisogno che egli avverte di attenuare quest’ansia che lo condiziona in maniera rilevante.
Didier Anzieu. Secondo Anzieu. Solo tenendo conto delle motivazioni inconsce che spingono all’azione e legano gli individui è possibile rendere ragione esaurientemente dei fenomeni che hanno luogo nella vita di un gruppo. Come per Bion, anche per Anzieu ogni realtà gruppale possiede una doppia dimensione, quella cosciente (tecnica) e quella inconscia (emozionale e fantasmatica). Da queste premesse, egli elabora una teoria organizzativa dei gruppi in cui organizzatore fondamentale è il fantasma e che segue passaggi dialettici consequenziali di strutturazione progressiva.
Gli approcci velocemente esplorati, secondo Kaneklin, permettono di considerare il gruppo da “OGGETTO” di studio a “STRUMENTO” di lavoro.
Parte seconda: gruppo e mutamento
Cambiamento e scienze umane
Autore di riferimento è Boudon, il quale constata che le scienze sociali hanno strutturato molte teorie del mutamento, di cui la maggior parte non ha resistito alla prova. Inoltre, le regolarità che esse sostenevano essere generali si sono rivelate soltanto come locali. Il tramite mediante il quale rivalutare le teorie del mutamento sociale inserendole in una dimensione più limitata è costituiti dalle sociologie dell’azione, accomunate dal concetto di “paradigma dell’azione”, secondo il quale il mutamento sociale diventa interpretabile quale prodotto del complesso intrecciarsi di azioni individuabili dei singoli e nei gruppi. In primo luogo, con il riferimento all’azione individuale come cardine dei fenomeni sociali si vengono ad eliminare tutte le visioni metafisiche secondo le quali i gruppi e le organizzazioni agiscono in obbedienza a spinte sovra determinate. Inoltre, si fa esplicito riferimento non solo alla necessità di analizzare i fenomeni sociali come aggregazione di azioni individuali, ma anche di comprendere queste ultime in ordine alla loro funzione adattiva rispetto alla situazione. Il paradigma dell’azione non si propone di spiegare esaustivamente perché e come i mutamenti avvengano, né di individuare leggi universali evolutive della società, ma si presenta come un metodo attraverso il quale è possibile spiegare perché una situazione specifica si è verificata, come si è giunti ad un mutamento preciso localmente e storicamente situato.
L’utilizzo delle conoscenze per operare
L’affermarsi imponente delle scienze umane chiama in causa il ruolo dell’osservatore.
Lo sviluppo della scienza, infatti, può essere visto come un progressivo processo di decentramento dell’uomo e dei suoi modi di pensare: la nostra capacità di percezione ed organizzazione non riflette la struttura profonda dell’universo, ma è sempre relativa al soggetto che conosce ed al suo mondo. Questo significa che non è possibile neutralizzare il ruolo dell’osservatore e delle sue conoscenze. La nuova concezione dell’osservatore trova le sue radici nella teoria dei sistemi; la teoria classica riteneva che il sistema, di fronte ad una richiesta o pressione ambientale, rispondesse con modalità univoche e dirette tese ad ottimizzare l’adattamento. La teoria dei sistemi più recente ha sostituito questa visione deterministica e meccanicistica con un’altra più sensibile alle dinamiche interne del sistema, indipendentemente dagli stimoli ambientali ed anche dagli stimoli che provengono dall’interno del sistema, cioè dai suoi sottosistemi: i sistemi, pur essendo composti di elementi eterogenei, risultano possedere una omogeneità di funzionamento notevole, si ha perciò una stabilità relativa dell’ordine del sistema che si contrappone alla variabilità ed indeterminatezza dei sottosistemi. Diventa perciò fondamentale osservare il sistema e le sue effettive relazioni interne e passare da una prospettiva di controllo ad una di autonomia, nella quale gli input ambientali rappresentano perturbazioni che il sistema può o meno raccogliere e nella quale la compatibilità tra il sistema e l’ambiente è definita come adattamento. L’osservatore interno ad un sistema valuta i fenomeni dal punto di vista della chiusura organizzazionale, cioè della conservazione; l’osservatore esterno, invece, la considera dal punto di vista dell’evoluzione e dello sviluppo potendone cogliere meglio la prospettiva storica. Il mutamento, i cambiamenti evolutivi, vengono originati da un’interazione tra stasi (conservazione), variazioni e novità. Perciò, non può essere considerato dipendente in maniera esclusiva dall’ambiente e non basta intervenire sull’ambiente per determinare il mutamento di un sistema secondo criteri di efficienza.
Attraverso il paradigma dell’azione:
- si riducono i rischi di visioni metafisiche e sovra determinate;
- la conoscenza del mutamento diventa una costruzione con obiettivi contingenti e non assoluti;
- è necessaria una integrazione tra sociologia e psicologia per comprendere le azioni individuali;
- in relazione alla visione complessa dell’individuo, delle organizzazioni di cui fa parte e dei mutamenti che le interessano, si fa riferimento a queste identità come dotate di autonomia rispetto all’ambiente;
- per comprendere un mutamento è sempre necessario riferirsi all’azione concreta;
- dentro questo quadro si colloca il ricercatore che incontra la realtà perturbando il campo osservato.