Pragmatica della comunicazione umana, Paul Watzlawick – EG
Autore: Paul Watzlawick, Helmick J. Beavin, Don D. Jackson
Edizioni: Astrolabio, Roma Anno di pubblicazione, (it.) 1978
Scheda elaborata da Eugenio Galli
Questo è di certo il testo che più ho amato della mia bibliografia. Negli studi in Scienze dell’Educazione quest’opera era stata già oggetto di riferimento e punto di partenza per esami di Psicologia clinica e Pedagogia della famiglia. E’ ben più illuminante il leggere gli autori alla fonte e attingere non a discorsi sui libri ma libri stessi.
Il libro si occupa degli effetti pragmatici (ovvero comportamentali) della comunicazione umana con un particolare riferimento ai disordini del comportamento.
Si possono indicare due tesi centrali in questo libro
- il comportamento patologico (nevrosi, psicosi, e in genere le psicopatologie) non esiste nell’individuo isolato ma è soltanto un tipo di interazione patologica tra individui;
- è possibile, studiando la comunicazione, individuare delle ‘patologie’ della comunicazione e dimostrare che sono esse a produrre le interazioni patologiche.
Facendo questo, Watzlawick si dimostra poco interessato alle ipotesi intrapsichiche dei comportamenti e alla loro storia: preferisce l’osservazione diretta della comunicazione nel qui ed ora che permette una identificazione dei modelli di comunicazione. Pur tenendo conto dell’importanza di stabilire la volontarietà o consapevolezza di un comportamento (comunicazione) l’autore sottolinea piuttosto il “significato” che ad esso viene dato. In qualche modo perciò la dimensione del significato, fatta uscire dalla porta rientra dalla finestra del terzo assioma. Tuttavia l’approccio fa perdere importanza alle cause di un disturbo in favore dei suoi effetti. La circolarità dei modelli di comunicazione in ambienti definiti “sistemi aperti”, fa assumere al sintomo/disturbo il ruolo di “regola del gioco” (rifacendosi alla Teoria dei Giochi) giocato in quel particolare contesto.
“È patologica la comunicazione di una data famiglia perché uno dei suoi membri è psicotico, uno dei suoi membri è psicotico perché la comunicazione è patologica?” (p. 39).
Il punto interessante è la relativa impossibilità di tracciare confini tra “normalità” e “anormalità” poiché sarà la natura contestuale della comunicazione a definire se il mio comportamento è “sano” o meno. Le patologie possano ascriversi a dinamiche e modelli comunicativi giocati dai partecipanti; questi sono pienamente abili nel farlo sebbene magari inconsapevoli delle regole alle quali si prestano (anche laddove queste provocano sofferenza).
I presupposti teorici elencati nel primo capitolo del libro aprono la strada a quelli che vengono considerati i fondamentali assiomi della comunicazione umana:
- L’impossibilità di non-comunicare.
- Livelli comunicativi di contenuto e di relazione (ogni comunicazione non solo veicola un contenuto ma al contempo impone un comportamento, definisce cioè la relazione- che è la cornice entro la quale il livello di contenuto va letto).
- La punteggiatura della sequenza di eventi (la comunicazione è un insieme ininterrotto di scambi: si connatura perciò in maniera circolare più che lineare e diventa illusorio cercare di rintracciare chi dei partecipanti abbia “cominciato” la sequenza).
- Comunicazione numerica e analogica (numerica può intendersi la comunicazione cosiddetta verbale- analogica quella non verbale e paraverbale).
- Interazione complementare e simmetrica (vi è un modello di interazione complementare che è caratterizzato dall’ineguaglianza e dalla differenziazione della differenza dei comportamenti dei partecipanti- opposta quella simmetrica).
A livello di linguaggio, il testo risulta appassionante e venato di una calda umanità. Di particolare levatura l’ultimo capitolo, “Esistenzialismo e teoria della comunicazione umana” ove gli autori si domandano se qualche principio della teoria della pragmatica della comunicazione umana possa essere utile quando si sposta l’attenzione dall’interpersonale all’esistenziale. Correndo il rischio di assumere posizioni apertamente soggettive, gli autori compiono una dichiarazione di fede: esprimono la convinzione che il rapporto che l’uomo ha con la sua vita sia ampio, complesso e personale e che la vita sia “una partner che accettiamo o respingiamo (…) e da tale partner l’uomo si sforza di ricevere dei segni sulla ‘vera natura della loro relazione” (p. 255).
Introducendo conoscenze ordinate
- la consapevolezza trasmessaci dai sensi;
- una conoscenza sulla conoscenza di prim’ordine, una metaconoscenza;
- la visione unitaria del mondo che sviluppa;
Watzlawick rileva la profonda difficoltà che abbiamo a modificare quella di ordine più elevato, pena la perdita di significato della nostra vita.
In presenza di senso invece possiamo sopportare massimamente cambiamenti di secondo ordine. Il terzo è dunque paragonabile al significato esistenziale degli uomini. Affascinante è il postulare un ordine successivo che sarebbe il solo livello dal quale si può intuire che la realtà non è qualcosa di oggettivo e inalterabile. Così come solo il soggetto terzo può sciogliere i giochi senza fine, ovvero il terapeuta può fungere da asse sul quale ribaltare paradossi pragmatici di un sistema, così solo il livello quarto che si pone fuori e sopra al terzo può permettere all’uomo di cambiare queste premesse, questa visione unitaria del mondo che ha sviluppato.
“Ma il quarto livello sembra assai vicino ai limiti della mente umana e a questo livello è raro che la consapevolezza sia presente, ammesso che si tratti di consapevolezza. Ci sembra che questa sia la zona dell’intuizione e dell’empatia (…) e dove il cambiamento terapeutico non si è in grado di dire come e perché è avvenuto”. (pp. 262-263)
Nell’ultimo paragrafo è la ripresa di Wittgenstein a porci al contempo coi piedi per terra e in nessun luogo: la nostra logica non conosce nessuna cosa che sia fuori di esso e il linguaggio non può davvero dire su qualcosa che è fuori di esso. Non c’è nulla dentro uno schema che possa asserire o anche solo chiedere qualcosa su quello schema.
La bellezza della conclusione ci indica come la soluzione, dunque, “non sta nel trovare una risposta all’enigma dell’esistenza, ma nel prendere atto che non c’è alcun enigma”.